Skip to content

Ricordiamo il Vajont

Ricordiamo il Vajont, dedicato alle generazioni future, per non ripetere mai lo stesso errore!
Quello che è successo lassù, nella valle del Vajont è stata un immane tragedia.

La Val Chisone è ricca di corsi d’acqua di grandi dimensioni. Nella valle del Vajont mi sono trovato come se fossi a casa, simili le montagne con castagni, faggi, betulle, simile il verde che lo circonda. Molti i torrenti, come le piccole e insignificanti “Combe”, da però non sottovalutare nel caso di pioggia intensa. Da come sicuramente avete potuto vedere nelle mie Photos, all’interno della pagina “Acqua”, gli sono molto legato. Forse non sapete, ma sono stati molti i progetti di dighe in Val Chisone (riserve d’acqua, serbatoi e bacini artificiali). Ora vi starete chiedendo: “cosa centra questo con il Vajont?”. Nulla serve solo a far riflettere le generazioni future dei nostri architetti geologi ingegneri di non dimenticare che la sete di soldi, anche costruendo dove la natura non permette, non porta mai benefici, tutt’altro!

Cerco quindi di riassumere in breve con qualche mia foto e qualche dato preso tra la gente di Longarone, Erto e Casso, quello che era capitato nel Vajont, anche se farlo breve è stato molto difficile! Dico solo che, a primo impatto, quando ho visto la diga, qualcosa dentro di me mi ha fatto sentire piccolo ed impotente davanti alla maestosità di tale struttura. Bianca, in alto, incastonata nella montagna, tra due gole imponenti. Quella tragedia ha quasi la mia età, quindi vorrei per prima cosa dire che tutto questo lavoro è dedicato in particolar modo ai miei amici di Longarone: Tiziana, Emilio, Cristiana, Piera, Giuliana, Carlo e la piccola Ada.

cartelAdesso iniziamo seriamente con la storia del disastro del Vajont

Nel 1929 ci fu il primo sopralluogo dell’ingegnere Carlo Semenza e del geologo Giorgio Dal Piaz.

Nel lontano 1956 arrivò la SADE: “Società Adriatica di Elettricità”. La SADE era una “FIAT” delle società idroelettriche: era la numero uno! Fu fondata da uno dei più straordinari capitalisti dei secoli passati: Giuseppe Volpi, Conte di Misurata, sua l’idea di fare porto marghera sul bordo della laguna di Venezia, sua la compagnia Italiana Grandi Alberghi, e sua, tra le altre mille cose, l’idea della mostra del cinema di Venezia, dove vi è ancora una coppa Volpi che ne perpetua il nome.

Ricordo che a quel tempo tutti e sette i serbatoi del Cadore, piccole dighe, messiinsime, contenevano 68 milioni di metri cubi d’acqua; il Vajont da solo ha una portata di 58 milioni di metri cubi d’acqua, ovvero l’85% del totale degli altri serbatoi.

Nel 1956 la SADE aprì il cantiere con 400 operai in una valle di 2000 abitanti. Ggli unici contenti? Le osterie!”. Intanto, però, nel ’56, quante erano possibilità di lavoro? Potevi avere una bella azienda agricola, ma c’è un’enorme differenza tra essere contadino ed essere operaio con soldi veri a fine mese e con la possibilità di pagare da bere al bar agli amici. Ma nel frattempo, per quella maledetta diga, ci sono stati dei morti anche in queste fasi iniziali.

diga-dietro-grandeIl colpo di scena

Nel 1957 arriva una variante in corso d’opera, che cos’è? E come se ad una casa dovessi mettere una finestra in più. Ma su una diga che cosa significa? L’unica variante un po’ concepibile su una diga e cambiarli un po’ le misure, infatti l’altezza della diga passa da 200 a 261,6 metri.

La portata passa da 58 milioni a 150 milioni di metri cubi d’acqua, due volte e mezza la somma di tutti gli altri serbatoi delle dolomiti messi insieme. Una diga così, a doppio arco a volta, di questa altezza, non era mai stata costruita al mondo. Quando fu terminata, era la più alta del mondo, nessuno aveva mai osato immaginare un impianto così e chi è il progettista dell’ottava meraviglia del mondo? Carlo Semenza, solo che ci vuole anche un geologo al suo fianco, uno come Giorgio Dal Piaz, professore molto stimato nel ’57 ed addirittura in pensione, solo che la pensione era misera e bisognava fare qualche consulenza, dare consigli, pativa rimanere casa a non far niente. In ogni caso Semenza dà il nuovo progetto della variante a Dal Piaz, che dice:

“Già il vecchio progetto mi pareva audace, questo nuovo mi fa tremare le vene e i polsi!”

Il geologo mette la firma, tanto quel che conta è di convincere il ministero in data 1 aprile 1957 tant’è che al 15 giugno:

Ministero: “Potete cominciare ad allargare le fondamenta della diga.”

Risposta: “Abbiamo già fatto, grazie.”

Ministero: “Ma se la farete più alta, fate qualche sondaggio in più.”

Risposta: “Si, lo faremo…”

Ma intanto immaginate la terra in più che deve essere allagata: porta a 400 espropri in 2 anni, in una valle di 2000 abitanti, immaginate dietro alla diga il timore delle persone per l’esproprio, con l’acqua che sale fino alle fondamenta delle case. “Ma possibile che qui fan la diga più alta del mondo e nessuno viene a controllare?”

Nel 1958 venne nominata la commissione di collaudo.

Diga di Pontesei
Diga di Pontesei

Il seguito

Nel frattempo, alla Diga di Pontesei, una frana solleva un’onda di 20 metri d’acqua e muore un operaio della sorveglianza: Arcangelo Tiziani. Dopo questo fatto il dottor Semenza invita un luminare della geologia moderna di nome Leopold Muller, austriaco, che dice:

“Sotto il monte Toc ho individuato una frana con un fronte di 2 km, una profondità di centinaia di metri con uno sviluppo verticale di circa 600 metri e una massa stimata di duecento milioni di metri cubi di roccia, un andamento in alto a forma di M.”

La “M” di Muller, battezzata così in seguito, che tra le altre incongruenze è stato scoperto che non è nemmeno stato lui ad averla scoperta, venne invece alla luce più avanti, tra i contrasti di geofisici e geologi. Troppe discussioni!

Il Monte Toc

monte-toc

Il Monte Toc è una montagna delle Prealpi bellunesi alta 1.921 m. Sulle pendici del Monte Toc, che formano un altopiano, gli ertocassani hanno pascoli e campi, alcuni hanno anche una seconda casa. Viene coltivato il mais, vengono allevati i bovini, a sorpresa, non mancano i filari di viti. La gente del luogo sa bene che, sopra e sotto la piana, il terreno è soggetto a piccoli e continui franamenti. La toponomastica del luogo racconta proprio questa storia:

Vajont vuol dire viene giù.

Toc significa: pezzo marcio.

Dunque stanno costruendo una diga in un luogo il cui destino è già segnato, in un modo o nell’altro. Eppure nessuno è riuscito a fargli aprire gli occhi…

L’opinione pubblica

3 Maggio 1959: Nasce il Consorzio per la rinascita della Valle Ertana, capitanato dalla giornalista Tina Merlin, grande donna e da sempre combattiva su questa vicenda; scriveva sul giornale articoli dai titoli provocatori, che avevano l’unico obiettivo di far alzare il velo di silenzio che si stava creando sulla costruzione della Diga del Vajont: “LA SADE SPADRONEGGIA, MA I MONTANARI SI DIFENDONO”, proprio per i suoi articoli provocatori e di denuncia, Tina Merlin ed il suo giornale sempre dalla parte della gente di Erto e di Casso, sempre contro il sistema, si prende una denuncia dalla SADE, ora di proprietà di Vittorio Cini, con l’accusa di aver pubblicato notizie false “Atte a turbare l’ordine pubblico”.

Ricordo ancora un fatto strano: la SADE, agli abitanti, oltre che aver promesso soldi per gli espropri, aveva anche promesso un ponte; infatti, questo, era stato previsto quando la diga era alta 200 mt e, davanti ad Erto, era stata prevista una passerella pedonale, ma adesso che la diga prevede 61 mt in più e l’acqua, di conseguenza, aumenta esponenzialmente, la passerella non è più attuabile, anzi, è per questo che stavano costruendo la famosa circonvallazione del lago che sarebbe stata lunga 12 km. Per mandare i bambini a scuola alla mattina ci vogliono 2 ore, più 4 di scuola, altre 2 a tornare, fanno 8 ore totali, come se fossero assunti in fabbrica.

“SADE, perché non fate una passerella pedonale?”

La SADE rispose: “Non si può perché il terreno non lo consente!”

Incredibile la risposta, stavano facendo una diga di 150 milioni di metri cubi di acqua e, sullo stesso tipo di terren,o non poteva reggere una passerella pedonale?!?

Diga del Frejus
Diga del Frejus

Nel frattempo, il 2 dicembre 1959, crolla la diga del Frejus! (vedi foto a fianco). 400 Morti ed una diga nuova di zecca, si dice che non avesse abbastanza fondamenta. L’accaduto non giova ai tecnici del Vajont e non incoraggia la continuazione dei lavori, ma contemporaneamente dovrebbe incoraggiare e a risolvere i problemi, tanto è vero che l’ingegnere Semenza scrive a Dal Piaz:

“Bisogna che ci incontriamo subito! Per discutere del Vajont, anche alla luce di quel che è accaduto in Francia”

Forse iniziavano ad avere qualche dubbio sulla sicurezza della diga del Vajont?

Il clou della situazione

foto_vajont_0013Diamo ora qualche quota. Fino adesso vi ho dato solo l’alte.za della diga, che è 261 metri; ora vi do le quote sul livello del mare. Il piede della diga parte da 460 mt e arriva a 721,60 mt in punta, il paese di Casso in cima a uno spuntone arriva a 930 mt e in fondo alla valle il Paese di Erto arriva a 780 mt molto più vicino quindi alla diga e al bordo del lago. Tuttavia c’è un altro numero: quello del paese di Longarone, fuori dalla gola e dall’altra parte del Piave, si trova praticamente alla stesa quota del piede della diga a 460 mt.

Nel 1960 inizia la prima prova di rinvaso: iniziano a mettere l’acqua, ancora con la diga da costruire, ciò comporta allagamenti nei paesi dietro alla stessa.

4 novembre 1960; prima frana al Vajont, la gente chiama la giornalista Tina Merlin, lei arriva, ma troppo tardi, la SADE nel frattempo aveva già costruito una recinzione coi reticolati attorno alla frana per evitare i curiosi e simili; peccato che, dall’altra sponda del lago, si vedesse benissimo. Sul monte Toc compariva, con un segno netto e ben riconoscibile, la famigerata M di Muller, ma molto più in alto di dove la si era prevista, e, con lei, uno slittamento di circa un metro, che seguiva per un perimetro di quasi 3 km la montagna. La SADE va in crisi, convoca personalità importanti tra cui Dal Piaz, tempeste di cervelli, riunioni discussioni a non finire e licenziamenti di persone.

30 novembre 1960: Tina Merlin e l’Unità vengono assolti. E ci credo con quello che stava succedendo tra frane, slittamenti e crepe nei muri.

1961: Il Presidente della provincia di Belluno Da Borso si occupa del Vajont ma in sostanza che ne sapeva del Vajont questa persona?

Nel frattempo si fanno esperimenti simulati con modellini per vedere le possibili conseguenze sui paesi dietro e davanti alla diga, e dopo solo sei anni salta fuori che anche Longarone è in serio pericolo.

Intanto, nel 1962, subentra L’ENEL, quindi tutti passano dal vecchio padrone, al nuovo padrone. Ma l’ENEL è a conoscenza della frana del Toc? Chi dovrebbe informarli? Insomma se io vendo una macchina usata, devo dirglielo come va a quello che la compra? Se lui me lo chiede cosa gli dico? Bene, secondo il basilare principio dell’onestà, sareri tenuto a dirgli ogni minimo problema, se presente, consigliandogli magari di portarla dal suo meccanico di fiducia, così da poterla rimettere in pista, evitando possibili danni futuri. Consegnate le chiavi dell’auto, l’acquirente guiderebbe immediatamente verso il suo meccanico di fiducia, senza fare strade alternative. Secondo questo esempio, la SADE avrebbe dovuto informare l’ENEL della frana e dei problemi relativi al terreno, così che l’ENEL avrebbe potuto prendere provvedimenti. Unico problema, il “meccanico” dell’ENEL, è lo stesso della SADE, quindi per lui i problemi non esistono.

Il 27 luglio 1963 il Vajont passa ufficialmente di proprietà, dalla SADE all’ENEL.

Estate del 1963: la nuova scuola elementare per evitare ai bambini di fare tutta la circonvallazione è inagibile.

Settembre 1963: la valle inizia a tremare, ma veniamo al 9 ottobre del 1963, quando la frana è in costante fase di avanzamento, ma, tuttavia, non viene dato l’allarme a Longarone di un grave ed imminente pericolo.

ESTERNO

Il Disastro

Alle ore 22,39 del 9 ottobre 1963 si compie l’ultimo atto di una tragedia umana.

vajont_guerrino_bortotUna frana gigantesca provoca un’onda che cancella, in pochi secondi, il territorio che circondava la diga e quasi 2.000 vite umane. La morfologia delle valli del Vajont e del Piave viene sconvolta: i danni materiali sono incalcolabili.

Di Longarone restano solo poche case.

Erto viene graziato, ma spariscono gran parte delle sue frazioni. Oltre alle vittime ed alla distruzione territoriale, la popolazione superstite subisce le conseguenze di indelebili danni morali, che sono quelli che hanno fatto soffrire e continuano a far soffrire le persone e tutta la comunità.

“La natura esce ancora una volta vincitrice nei confronti dell’uomo!”

L’effetto generato dalla caduta del grosso corpo franoso produsse, sul lago artificiale, risultati impressionanti.

Esso attraversò la gola a velocità molto alta, scivolò sul pendio opposto risalendolo in parte. In una decina di secondi generò uno spostamento di circa 350 – 380 metri, in proiezione orizzontale, e lungo la superficie di scivolamento di 450 – 500 metri. La pressione di questa massa, per effetto della spinta idraulica, sollevò un’ondata di circa 50 milioni di metri cubi. L’acqua raggiunse quota 930 metri, carica anche di materiale solido in sospensione, prima di riversarsi sul lago restante ed oltre la diga, verso la valle del Piave.

Circa la metà del volume d’acqua si riversò dunque nel Longaronese, percorrendo in pochi minuti quasi due chilometri.

Il suo fronte, in corrispondenza della diga, era di circa 150 metri, mentre allo sbocco sul Piave era di 70 metri. Dalla diga allo sbocco della valle del Vajont il fronte dell’onda di piena impiegò 4 minuti per percorrere 1600 metri (ovvero più di 6 metri al secondo!).

Un po’ di dati tecnici

IMG-20140505-WA0002Nella piana del Piave, l’acqua, non trovando ostacoli naturali, si appiattì e dopo aver investito Longarone e i centri limitrofi, rifluì verso sud, lungo il corso del fiume, generando un’enorme onda di piena. Dallo sbocco della valle del Vajont al ponte di Soverzene sul Piave questa percorse 7500 metri in 21 minuti, con una velocità media di propagazione di circa 6 m/sec.

A Belluno, venti chilometri più a sud, la portata era ancora valutabile attorno ai 5000 metri cubi/sec e l’altezza dell’acqua era di circa 12 metri.

La sua velocità di propagazione, nel tratto tra Belluno e Nervesa (quest’ultimo centro situato a circa 60 chilometri da Longarone) era dimezzato rispetto al tratto tra Soverzene e Belluno, con valori corrispondenti ad una normale onda di piena (2 – 2.5 m/sec).

Solo in corrispondenza della foce del Piave, sul mare Adriatico, le acque tornarono quiete.

La Diga

Altezza diga iniziale: 200 mt
Altezza diga definitiva: 261 mt
Portata: 150 milioni m³ d’acqua

Dati Altimetrici

Altitudine Erto: 780 mt/slm
Altitudine sopra la diga: 721 mt/slm
Altitudine Fondo diga: 460 mt/slm
Altitudine Longarone (Soverzene – Piave): 460 mt/slm

Il Disastro

Vittime del disastro: più di 1900 anime
Portata dell’Onda: 50 milioni m³ d’acqua
Spostamento orizzontale dell’onda: 350 – 380 mt
Altezza fronte d’onda: 150 mt
Altezza fronte d’onda sul Piave: 70 mt
Altezza fronte d’onda Belluno: 12 mt

La velocità

Diga – sbocco valle: 1600 mt @ 4 minuti
Sbocco valle – ponte di Soverzene sul Piave: 7500 mt @ 21 minuti
Velocità media Diga – Soverzene (Piave): 6 mt/sec
Velocità media Soverzene (Piave) – Belluno: 4 mt/sec
Velocità media Belluno – Nervesa (a 60km da Longarone): 2,5 mt/sec
Portata Media d’acqua sbocco valle – Belluno: 5000 m³/sec

Video

Reportage Dariogeographic.it

Ricostruzione digitale del disastro

Torna su